La risoluzione del contratto di locazione deve essere registrata. In caso contrario, si rischiano conseguenze a livello fiscale. Come accaduto a un contribuente che è stato condannato dalla Ctp di Milano (sentenza 1467/3/2018) a pagare l’imposta di registro anche per le mensilità in cui l’immobile era stato riconsegnato dall’inquilino.
In esame un contratto di locazione tra una persona fisica e una società (formula “6+6”), registrato il 28 maggio 2008. Il 28 ottobre 2010 l’inquilino ha comunicato al locatore la disdetta “a mezzo missiva”, sfruttando la facoltà di recesso anticipato; il 31 marzo 2011 l’inquilino ha liberato l’immobile; il 21 febbraio 2013 il locatore ha versato l’imposta di registro per la risoluzione anticipata con modello F23 (predecessore dell’F24 Elide attualmente in uso); il 29 novembre 2013 l’Agenzia delle Entrate ha notificato al locatore un avviso di liquidazione con cui ha chiesto il pagamento dell’imposta di registro per l’annualità 2011.
Il contribuente ha presentato ricorso, sostenendo che il contratto si era già risolto con la disdetta e il rilascio e che, quindi, dal 28 maggio 2011 non era iniziata alcuna nuova annualità contrattuale. Ma il giudice ha dato ragione al Fisco, condannando il ricorrente a pagare anche le spese di lite.
Sotto il profilo procedurale, il ricorso è stato ritenuto inammissibile, perché il contribuente non ha impugnato l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, ma solo la cartella esattoriale che ne è conseguita. Ma la cartella può essere impugnata solo per vizi propri, mentre la mancata contestazione dell’avviso di liquidazione lo rende irretrattabile, come stabilito dalla Cassazione (17617/2016).
Rispetto al merito della vicenda, la Commissione milanese ha considerato irrilevante, agli occhi del Fisco, il fatto che il contratto di locazione si sia risolto tramite lo scambio di una missiva, anche se “debitamente firmato tra locatore e locatario”, in quanto privo “di data certa”.
La sentenza non ha precisato se nel caso specifico si sia trattato di una lettera comune o di una raccomandata con avviso di ricevimento. Ma la mancanza di data certa ha fatto propendere per la prima ipotesi, da cui deriva che la tardiva registrazione dello scioglimento anticipato è diventata il momento determinante a partire dal quale la cessazione ha acquistato efficacia nei confronti del Fisco (anche ai fini reddituali).
Laddove “si sia verificata una qualsiasi causa di risoluzione del contratto, ivi comprese quelle di inadempimento in presenza di clausola risolutiva espressa e di dichiarazione di avvalersi della clausola (articolo 1456 del Codice civile), o di risoluzione a seguito di diffida ad adempiere (articolo 1454)” il riferimento al reddito locativo non è più adeguato e si torna alla rendita catastale (Corte costituzionale, sentenza 362/2000). Ma la prova di tale risoluzione va fornita dal contribuente, il quale non può pretendere di essere creduto “sulla parola”, soprattutto perché il processo tributario è, essenzialmente, un procedimento documentale.